Presi il treno alle 5.51 da Biella, sapevo che sarei arrivato molto in anticipo, però il primo giorno meglio così. Arrivai a Torino alla stazione di Porta Nuova e presi il bus numero 67.
In primo piano un Narciso dorato, affiancato da due figure barbute, adagiate ai lati della prua, da cui parte il fregio che corre lungo tutto lo scafo: tritoni, divinità marine, nereidi si susseguono.
Nemmeno un raggio del caldo sole di luglio che raggiunge le ampie vetrate del Palavela filtra all’interno dell’edificio: mi addentro in una enorme caverna buia in cui è una sapiente regia di luci a svelare le opere del poeta dell’acciaio, Alexander Calder.
Davanti ai piloni grigi che spuntano dal laghetto artificiale di Italia ‘61 su cui sfrecciava la monorotaia vedo un qualcosa di nuovo. Sembra un mulino, gira, sfiora l’acqua e ne alza un po’.
Torno a casa a piedi, come tutte le sere d’estate, attraversando il parco Millefonti e passando accanto a quel che resta della monorotaia costruita per Italia ’61. È chiaro che il futuro lì anticipato non si è realizzato