L’allestimento di Renzo Piano e dei suoi collaboratori compone una selva luminosa, fatta di tecnica e poesia: in posizione centrale tre sculture sormontate da due mobiles appesi alla volta, giochi di ombre cinesi sul soffitto e sulle pareti che a raggera compongono lo spazio espositivo e testimoniano ognuna una fase creativa dell’autore americano. E’ la sezione delle sculture in movimento però che più mi affascina: un continuo tintinnare, bagliori, forme e linee colorate in traiettorie sempre diverse, mai prevedibili, una danza la cui bellezza è assoluta. Sembra di stare nel paese dei sogni. I giganti d’acciaio di Calder animano anche il giardino esterno e il laghetto che vent’anni prima vedeva il passaggio della monorotaria di Italia 61. Come afferma il curatore della mostra, Giovanni Carandente, “un oggetto di Calder somiglia al mare e come il mare è seducente: sempre ricomincia, sempre è nuovo”. Estendo il paragone alla città, trattenendo nel ricordo le istantanee di questa incredibile e coinvolgente mostra, e nuove prospettive legate a questo luogo di Torino.